Mi ci vedo ancora: testa a capofitto nello spazio di un banco dopoguerra, libro scassato, trafugato tra i tanti del mercatino usati. Non ce la faccio e la condanna arriva. Il tributo è in inglese. Voce alta del teacher, del professore: fuori! cella grande, cielo aperto! Nevica, ho le scarpe di mio fratello maggiore: a lui sono piccole a me enormi, ma sono passaggi da carestia, protocollo inevitabile. Che ho fatto? Sbirciavo, anzi tentavo di sbirciare la grammatica per rendere meno disastrosa una traduzione da consegnare. Anni Cinquanta, terza media: neanche sbirciare! Se poi hai altre negatività, i numeri, la geografia, religione, il giudizio del teacher ti condanna rimandato a settembre e la tuta bleu… non te la cavi più. Possibile? Possibile. Colpa della grammatica, ingiustificabile da madre che non sa.
Ecco: il prologo è da teatrino, lo so. La verità ha sempre un baffo di sospetto e se non sei furbo, ci caschi. No, non ci sono cascato, ho continuato a frequentare, sono entrato nella cella grande a cielo aperto anche per altre grammatiche, ma quella, quella dello sbircio, mi è profondamente rimasta. Tanto che Giorgia Martone me l’ha richiamata. Non con un libro scassato: stavolta volume d’alto assemblaggio, stupendo nei colori, pagine a discriminazione capitoli con disegni mirabili, gioco di trasposizioni a genio grafico di un Michele Rocchetti a graziante cromia. Eppure, eppure è… grammatica, Grammatica del Profumo. E stavolta non c’è solo lo spazio del banco dopoguerra, ma una enciclopedia che interpreta e insegna e lo scorrere di trecento pagine diventa piacere, assuefazione a un interminabile gioco.
Una Grammatica gioco? No, il gioco sta nel concepire, nel godere di tutto ciò che non si sa, anche sulla verità nascosta dei sentori, ovunque omaggio di una natura generosa che spesso non riusciamo a capire, a gustare, a sorprenderci. Questa la Grammatica di Giorgia: un libro documento per scienziati bambini, voglia di sfogliare, anche per sorprenderci dei disegni della natura che traggono di lontano per proiettare al presente e al futuro l’elaborato giocattolo delle essenze, nomi e cognomi di un popolo di genialità che non conosciamo appieno e che solo i gran maestri (sempre attenti che non occhieggi sottobanco…) fingono di sapientemente elaborare per procurarci “la novità” che comunque faccia business.
Dovrei far nota ora, citando e gioendo del tutto delle trecento pagine: ma questo non è un volume da stelle di critica e nemmeno un romanzo sull’ignoto della natura. Qui tutto è vero come a pagina 276: c’è il “nespolo” che faceva terrore nel bottino di mie squallide merende e che poi, nell’età della supponenza, ho acquistato a capolavoro d’omonimia Ugo Nespolo. E invece: un frutto dal mirabile intento, segnalare il passaggio delle stagioni, primo al fiore in primavera, ultimo al frutto in ottobre. E un bocciolo d’ammirazione alla donna virtuosa.
Commenti