Dior, Demachy, Depp, Mondino, Sauvage: è l’equazione dalla quale è impossibile distrarsi per poi alzare braccia d’inevitabile resa. Ho visto Johnny Depp a Venezia, ho intercettato il suo sguardo durante l’assalto dei fans, ho letto, a occhiate frantumate, i video sul web, ho meditato l’orgoglio creativo di Demachy, genio “parfumeur” della Maison, ho fatto meraviglia della creatività video di Mondino, ma non ho ancora assimilato il perché del… molto rumore per nulla, spesso ispiratomi dal dramma shakespeariano.
Sì, molto rumore per nulla, o per poco, o per tanto che un profumo, il suo spot, il suo testimonial, hanno divampato. Ecco perché, lontano, infinitamente lontano, dal turbolento mondo delle polemiche che coinvolgono i diritti e i doveri delle contrapposizioni, mi fermo al flacone come al solito meravigliosamente efficace di Sauvage, ultimo, a declinazione Parfum, dopo gli altri due illustri “fratelli” già da tempo in successo planetario. Flacone che mi preme definire totem coinvolgente di una pozione fragrante, che ha solo una saggia, esauriente “nomination” ad ulteriore successo; questa di Demachy: «Sauvage è uno spartito infinito. La sua composizione è così densa che è possibile donarle aspetti inediti, plasmandola con sfumature delicate. Per questo nuovo profumo, ho immaginato l’incontro tra una freschezza intensa e la soavità di una fragranza orientale. Ho conservato intatta l’anima potente di Sauvage, offrendole accenti notturni, un’attrazione animale e sfaccettature più rotonde.»